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L'anormalità
di Sandro Invidia

Qualche tempo fa un collega mi spiegava quale fosse uno degli effetti più perversi della televisione: non solo, come sosteneva McLuhan, crea la realtà, ma le impone i propri ritmi, le proprie scadenze.
Per esemplificare, mi faceva notare come fosse passata in un lampo la costernazione per il cataclisma del Nicaragua, allora di stretta attualità: qualche passaggio televisivo, commozione planetaria, poi, dopo circa una settimana, più nulla. Non se ne parlava più, quindi non esisteva più.
Io, meno sicuro di lui sul potere mediatico, pensavo che questo dipendesse, in realtà, dall'ottica egoista di noi occidentali: è successo lì, lontano, ci riguarda poco; solidarietà, è vero, ma non ce ne sentiamo colpiti più di tanto… Che c'entra la televisione?
Probabilmente avevo torto, e aveva torto anche il mio amico.
Non c'entra la televisione; non c'entra nemmeno l'egoismo. C'entra invece il nostro modo particolare di sistemare le cose in scala gerarchica.

L'ho scoperto ora che è capitato quello che nessuno di noi poteva nemmeno immaginare.
La catastrofe statunitense è di quelle che segnano le epoche. Probabilmente è vero: si tratta dell'avvenimento più grave dalla fine della seconda guerra mondiale. Un'ecatombe così grave che potrebbe essere eguagliata solo da una decina di terremoti della massima potenza, purché l'epicentro non fosse in America (lo ricordiamo tutti il terribile sisma californiano, che avrebbe raso al suolo città in ogni altra parte del mondo e invece lì riuscì solo a distruggere una sopraelevata).
Un'ecatombe a noi vicina, soprattutto.

Lutto? Costernazione? Silenzio attonito?
Sì, ma fino a un certo punto.

Ho parlato con tutti, letto di tutto.
Ho parlato con i miei studenti, innanzitutto. Loro sono piccoli e credo che, non per colpa loro, non riescano ancora a distinguere bene fra realtà e finzione. Commentano il fatto, alcuni anche con competenza, ma non si riesce a cancellare l'impressione che ne parlino come della trama di un film.
Perché dovrebbe essere diverso, d'altra parte? Sono nati (nell'87, i più piccoli!) e cresciuti in un'epoca che davvero non ha offerto loro angosce o paure particolari, se non al cinema.
Poi ci sono gli adulti, ascoltati nei corridoi, nelle vie, alla radio, in televisione; letti sui giornali: ci sono quelli che pensano che gli americani se la sono andati a cercare e quelli che dicono che ora bisogna reagire.
Gli uni e gli altri mi hanno lasciato perplesso. Entrambi, sembrano inseguire una propria rappresentazione mentale del fatto, che non è il fatto. La mappa del mondo, che non è il mondo!

Così, se per quello che succede in Terra Santa non mi stupisce l'esultanza dei palestinesi; se le centinaia di migliaia di iracheni morti per l'embargo mi ricordano che non posso aspettarmi dispiacere da chi la guerra con gli Stati Uniti la sta patendo da tempo; nulla riesce a farmi comprendere la malcelata soddisfazione di chi, privatamente, a mezza bocca, in un angolo di corridoio o nel salotto di casa, scopertosi all'improvviso commentatore accorto e sagace, mi spiega la storia dell'Umanità, e le necessità della politica (fra le quali sembra ci possano essere anche un paio di aerei e qualche grattacielo…)

Dall'altra parte, i falchi della reazione. Ho sentito di tutto: ai microfoni aperti di radio radicale, ho ascoltato gente sostenere che è ora di farla finita con questi comunisti-extracomunitari, colpevoli di tutto.
Gente becera (gli italiani al telefono, non certo i comunisti, e tanto meno gli extracomunitari), che però ha trovato la propria autorevole malleveria nelle righe scritte dall'insulso fanatismo di Baget Bozzo, che vede giunto il momento di scatenare la guerra santa all'Islam (esattamente come, un mese fa, chiedeva l'uso della forza contro gli anti G8… il prete!).
In generale, in questa seconda schiera di commentatori domina il sentimento della vendetta.
Contro i terroristi?
Macché! Contro i loro amici italiani: gli Agnoletto, i Casarini, i Bertinotti… persino Achille Occhetto e tutta la stampa di sinistra, a parere del Giornale e di Libero!
C'è voglia di fare i conti. Come il desiderio di farla finalmente pagare a chi ha osato chiedere un mondo e una prospettiva diversi di sviluppo e civiltà; accusati di aver fomentato l'odio antiamericano, questi dissenzienti vengono oggi processati, sulle pagine dei principali organi di stampa, quasi fossero i mandanti morali della strage.
Fa rabbia tutto questo, e non solo perché si cerca, in questo modo, l'occasione di tacitare il dissenso, ma perché per i propri meschini regolamenti di conti non si esita ad esibire i poveri resti di quelle persone che proprio a tutto pensavano, fuorché alla possibilità di morire per fare i comodi dei Belpietro, dei Feltri…

Che altro aggiungere?
Giro i canali e tutto sembra già tornato alla normalità: i soliti show, i soliti telefilm, le solite cazzate… (forse aveva ragione il mio amico, tutto sommato!)
Ascolto i notiziari economici, e scopro che le borse lavorano e rialzano la testa… (e poi tornano giù).
Parlo con i miei amici e mi dicono che le partite si giocano regolarmente…
Leggo Il Cittadino e vengo a sapere che il Gran Premio si farà: "alle provocazioni bisogna rispondere con la normalità" dice il nostro sindaco!
La normalità?
Martedì 11 vengono uccisi migliaia di cittadini americani e domenica 16 tutto torna normale?

Non mi sono mai sentito più anormale di oggi!

Sandro Invidia
sandro.invidia@arengario.net




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  14 settembre 2001